Il concetto di bolla finanziaria appare nelle discussioni ogni qualvolta gli operatori hanno la sensazione che un mercato, spesso quello azionario, sia salito per un periodo “troppo lungo” oppure si sia attestato a dei livelli “troppo alti“.
Tipologie di bolla finanziaria
Una definizione più precisa del concetto di bolla deriva dal paragone tra il valore fondamentale e il valore di mercato di un asset. Purtroppo il valore fondamentale non è direttamente osservabile sugli schermi e deve essere quindi stimato con un modello di asset pricing. I modelli più utilizzati si differenziano per le loro ipotesi sottostanti: Aspettative razionali, preferenze omogenee, informazione simmetrica e fluidità di mercato. Tipicamente, la letteratura finanziaria varia dai modelli neoclassici di mercato efficiente, ai modelli con vari limiti di arbitraggio, per finire con i modelli comportamentali di nuova generazione (dove la razionalità degli agenti economici non è più richiesta, per intenderci). Si può e si deve dunque distinguere tra bolle razionali, bolle comportamentali eccetera.
Esistono le bolle?
Senza dover mettere in discussione la razionalità degli investitori, un semplice modello neoclassico di pricing può servire a illustrare la situazione attuale. Concettualmente, il prezzo di un asset senza data di scadenza si scompone in valore fondamentale, per esempio, il valore attuale delle cedole o dei dividendi, e valore della componente che chiamiamo “bolla“.
Quali sono le condizioni sufficienti perché la bolla possa esistere senza scoppiare?
Basta che il tasso di crescita del valore della bolla sia uguale al tasso di sconto del mercato. Poniamo ora che il valore della bolla aumenti invece a un tasso eccedente il tasso risk free, per esempio perché la banca centrale adotta una politica troppo espansionistica. In questo caso, il valore attuale della bolla è infinito (ovviamente più grande del valore finito attuale di tutte le attività dell’economia sottostante), la bolla quindi non può esistere oppure se è presente allora è anche destinata a scoppiare.
La situazione attuale: una bolla obbligazionaria non è improbabile
In Eurozona, dal 1999 al 2007 il tasso reale di crescita dell’economia era in media 2.3%. Il mercato obbligazionario ha reso 2.1% in media, quindi in linea con la crescita reale e con un ipotetico tasso di sconto generale (il tasso reale EGB era 2% in media). In questo contesto, possiamo dire che la componente bolla cresceva a un tasso chiaramente inferiore al tasso di sconto e quindi il suo valore attuale era zero. Lo stesso calcolo per il periodo “post-whatever-it-takes” ci offre un quadro meno rassicurante: Dal 2012 a oggi, l’economia dell’Eurozona è cresciuta del 1.1% in media, con un rendimento reale del mercato obbligazionario di 3.8% annuo.
Il tasso reale del mercato risk-free, invece, è in netto contrasto con un rendimento medio del 0.2%. Da questi numeri traspare una probabilità non insignificante che esista in effetti una bolla obbligazionaria nell’Eurozona, dovuta molto probabilmente alla politica monetaria non-convenzionale della BCE. Il controllo di questa ipotetica bolla obbligazionaria spetterebbe quindi, a mio avviso, alle autorità monetarie e non alla regulation macro-prudenziale, che in passato ha svolto un lavoro egregio nel contenere i rischi a livello di sistema previdenziale e bancario.
Non tutte le bolle vengono per nuocere
Per meglio dire, molte bolle spesso sono in realtà nocive, infatti causano profonde recessioni, capaci di far affondare il sistema bancario, e ci impiegano anni per levarsi di torno. “Se gli effetti colpissero soltanto gli azionisti, si potrebbe sostenere che ogni azionista dovrebbe essere libero di correre questo rischio”, ha detto Eric Rosengren, presidente della Federal Reserve di Boston, durante una conferenza virtuale a novembre. “Il fatto è che anche clienti, fornitori e dipendenti sono danneggiati da questo modo di assumersi rischio azionario”.
Ma le bolle non sono necessariamente sempre cattive, soprattutto quando lasciano indenne il sistema bancario. Secondo Bill Janeway, venture capitalist di lunga data, alcune bolle sono addirittura “produttive”, dal momento che spingono il denaro verso nuove industrie, dalle ferrovie a internet, creando così una nuova economia.