Un topic molto discusso negli ultimi anni è l’effetto domino delle interruzioni delle supply chain sull’economia globale. Le catene di approvvigionamento globali sono state fortemente colpite dalla pandemia COVID-19, dai lockdown e dalle guerre commerciali. Ecco il nuovo scenario economico globale.
Il Fondo Monetario Internazionale ha dichiarato che la crisi delle supply chain potrebbe colpire la crescita globale. Lo scoppio della pandemia da Covid-19 ha causato una forte compressione della domanda, che ha portato ad un incremento dei risparmi dei nuclei familiari. Quando la domanda è incrementata, l’offerta non è riuscita a fronteggiare il picco della domanda. Ciò ha portato ad una riduzione del livello degli stocks, alla carenza della manodopera ed alle congestioni nei porti.
Secondo il FMI, l’output manifatturiero ed il Pil dell’Eurozona sarebbero stati più elevati del 6% e di due punti percentuali senza i colli di bottiglia nelle catene di approvvigionamento. Le interruzioni delle supply chain hanno avuto un impatto significativo sull’economia globale. Questo scenario ci consente di riflettere di rispondere a questo quesito: “L’economia globale si sta deglobalizzando?”.
Le supply chain sono minacciate?
Le catene di approvvigionamento da cui dipende l’offerta dei beni per i consumatori e le imprese di tutto il mondo sono minacciate. La prima dura prova è stata scatenata dai lockdowns imposti dai governi di tutto il mondo per affrontare l’emergenza sanitaria. La forte compressione della domanda ha favorito l’incremento dei risparmi delle famiglie, che ha alimentato il successivo aumento post pandemico. Il sistema logistico e produttivo globale è stato congelato a seguito dello scoppio della pandemia da Covid-19. Il blocco delle attività produttive ed il crollo della domanda di molti beni hanno spinto le aziende a ridurre gli stocks e gli ordini ai fornitori.
Con la fine della pandemia e dei lockdowns imposti dai governi, la domanda si è spostata dal settore terziario a quello dei beni, ma l’offerta non è riuscita a fare fronte all’aumento vertiginoso della domanda. Le congestioni nei porti, la riduzione delle scorte e la carenza di manodopera hanno frenato la ripresa del sistema economico e contribuito ad accrescere il trend inflazionistico. Secondo un recente report pubblicato dal Fondo Monetario Internazionale, senza le rotture nelle supply chain l’anno scorso l’output del sistema manifatturiero e il PIL dell’Eurozona sarebbero stati più elevati. Inoltre, non si sarebbe innescata la spirale inflazionistica e i continui rincari che hanno fatto “schizzare” i prezzi dei beni alimentari e della materia energetica.
All’inizio del corrente anno il quadro appariva in graduale miglioramento con l’aumento degli stocks e la riduzione degli ordini non evasi. Analizzando il Supply Chain Pressure Index (SCPI), elaborato dalla Federal Reserve Bank di New York, si è assistito ad un allentamento delle tensioni sulle supply chain. Il miglioramento dell’indice Supply Chain Pressure Index è stato annichilito dallo scoppio di eventi inattesi, tra cui i lockdowns, la guerra in Ucraina e la guerra in Israele.
Gli effetti dei lockdowns cinesi sulle supply chain
Dalla fine del mese di febbraio la variante Omicron ha fatto balzare il numero da 385mila a 1,90 milioni dei contagi, nonostante le autorità cinesi abbiano adottato misure restrittive. Prima è toccato alla Silicon Valley cinese Shenzhen, poi è stata la volta di Shanghai. Dinanzi all’incremento vertiginoso dei contagi le autorità cinesi hanno optato per un lockdown scaglionato.
Tale misura si è rivelata del tutto inefficace e l’esecutivo ha introdotto misure severe. In poche settimane si sono avute ripercussioni sulla supply chain: il numero delle navi in attesa di espletare le operazioni di carico e scarico nel porto di Shangai è incrementato di oltre 500 punti percentuali.
Quali sono gli effetti della guerra in Ucraina sulle supply chain?
Altro grande shock ed evento inatteso che ha avuto conseguenze sulle supply chain globali è rappresentato dallo scoppio della guerra in Russia ed in Ucraina. L’inizio del conflitto ed il perdurarsi del conflitto ucraino ha compromesso l’approvvigionamento di tantissime materie prime, che vengono utilizzate a monte di molte filiere produttive. Si pensi, ad esempio, all’incertezza nella fornitura del gas russo, alle materie prime alimentari ed agricole e ai metalli e ai minerali.
La Russia è uno dei principali fornitori di titanio, palladio, alluminio, nickel e scandio. L’Ucraina è uno dei maggiori produttori di neon, gas nobile che viene utilizzato nella produzione di chip. A seguito del perdurarsi del conflitto bellico, i prezzi di queste materie prime hanno subito un incremento vertiginoso. Ciò ha fatto emergere la necessità di diversificare i mercati di approvvigionamento, riducendo la dipendenza dalla Russia e dai paesi “non amici”.
Il quadro geopolitico è cambiato: via alla deglobalizzazione
Oltre allo scoppio del conflitto bellico in Ucraina, gli USA hanno imposto incrementi tariffari sulle importazioni di alluminio e di acciaio. Si tratta di tariffe, che consentono di garantire la sicurezza nazionale. Sul futuro della globalizzazione c’è molta incertezza. Con la riorganizzazione della supply chain internazionale potrebbe emergere e delinearsi un nuovo sistema economico mondiale, che si basa su accordi regionali e bilaterali, oltre che su partnership commerciali.